Il Belvedere dell'Etna

L’eruzione del 2001 dell’Etna, dove l’approccio con i vulcani è cambiato

L’eruzione del 2001 dell’Etna ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta nello studio dei vulcani, non solo per la comunità scientifica italiana ma per quella di tutto il mondo. L’eruzione del 2001 ha visto la contemporanea presenza di 5 bocche attive in diverse zone del vulcano.
L’attività stromboliana, con emissione di colate laviche, ha rappresentato un fenomeno piuttosto comune negli ultimi 40 anni, nel cratere sommitale di Sud Est, ed è stata accompagnata da emissione di colate laviche a 2800 metri di quota sul bordo occidentale della Valle del Bove e a 2900 metri in Valle del Leone, nonché da una bocca a 2100 metri presso i Monti Calcarazzi. Essa, ha portato alla drastica diminuzione di buona parte delle attività turistico/commerciali dell’area del Rifugio Sapienza.
Infine, una bocca si è aperta proprio in zona Belvedere, dalla quale si è avuta attività fortemente stromboliana con intensa emissione di cenere: questa bocca ha lentamente costruito il Cratere Laghetto, ben visibile dal Belvedere, causando un accumulo di quasi un metro di cenere nella vicina città di Catania, con pesanti conseguenze sulla viabilità, anche aerea, e sulle attività commerciali ed agricole della zona. Per avere un’idea della quantità di cenere emessa, e dell’altezza raggiunta dalla colonna eruttiva, è sufficiente sapere che la cenere del Cratere laghetto ha raggiunto la Grecia e le coste settentrionali dell’Africa. Fino a quel momento, l’Etna pur essendo monitorato ha colto di sorpresa la comunità scientifica che non prevedeva un’attività così intensa e, al contempo, in diverse zone del vulcano.
A partire da questa eruzione, l’Etna è diventato, insieme a Stromboli, uno dei vulcani attivi più monitorati al mondo. Oggi, grazie a tutti gli studi conseguenti a questa eruzione, si è in grado di prevedere con qualche ora di preavviso la probabile e imminente eruzione, e si riescono a contenere i danni della cenere sulla viabilità aerea grazie a dei modelli che integrano l’altezza della colonna eruttiva alle condizioni meteorologiche del momento.
Questa è una ulteriore dimostrazione di come l’Etna sia, a tutti gli effetti, un vero e proprio laboratorio naturale per le scienze, non solo a carattere vulcanologico.

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