Orfeo raccontato da Seneca

“Alla musica dolce di Orfeo, cessava il fragore del rapido torrente, e l’acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto … Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell’ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva … Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto (…)”. Cosi Seneca, filosofo stoico, vissuto nel I sec a.C, ricorda il mitico cantore e poeta figlio del re tracio Eagro e della musa Calliope, nella tragedia “Ercole sul monte Eta”.
Il giovane musico è ricordato per le dolci melodie, che suonava con la sua cetra, in grado di ammaliare animali e oggetti inanimati, ma anche per la sua passione rivolta alla sua amata, la ninfa Euridice che, strappata alla vita a causa del morso di un serpente, perse la possibilità di ricongiungersi ad Orfeo per una mancanza di quest’ultimo. Egli, infatti, non rispettò le condizioni dettate da Ade, dio degli inferi, per poterla riavere al suo fianco. Dopo essere sceso nel mondo sotterraneo per recuperare la sua compagna, Orfeo, ormai prossimo a raggiungere la luce della superficie, seguito da Euridice, si voltò per ammirarla, venendo meno al patto stipulato con Ade e condannando la ninfa a restare nell’oltretomba per l’eternità.
Il musico, colto da disperazione, iniziò ad odiare le donne della Tracia che lo uccisero, nel corso di un’orgia rivolta al dio Dioniso, e lo tagliarono a pezzi. Si narra che la sua cetra brilli ancora nel cielo, trasformata da Zeus, re dell’Olimpo, in costellazione.